venerdì, giugno 01, 2007

Cervelli Export

Pietro Greco
Claudia Di Giorgio, Cervelli Export, AdnKronos libri, Roma, 2003

Claudia Di Giorgio mostra come la fuga dei cervelli dall'Italia abbia conosciuto due stagioni, intramezzate da un breve e felice intervallo che potremmo chiamare età del Parnaso.
La prima stagione è quella associata alla seconda guerra mondiale e inaugurata dalle leggi razziali sciaguratamente varate dal regime fascista nel 1938.
In quella stagione l'Italia perse molti cervelli.
Enrico Fermi e tutti i ragazzi di via Panisperna (tranne uno, Edoardo Amaldi). Bruno Rossi, il maestro di Riccardo Giacconi. Da Torino subito dopo la guerra partirono tre giovani biologi, allievi di Giuseppe Levi, destinati a vincere, negli Usa, altrettanti premi Nobel: Salvatore Luria, Renato Dulbecco e Rita Levi Montalcini.


Tuttavia, dopo la guerra, quel primo flusso in uscita sostanzialmente finì. Iniziò una breve eppure densa stagione di rinascita.
Durante la quale molti scienziati italiani partivano, ma molti scienziati stranieri venivano nel nostro paese: basti ricordare il premio Nobel inglese Boris Chain e lo svizzero Daniel Bovet, che otterrà il Nobel per attività di ricerca svolte in Italia.
Insomma, l'Italia sembrava un paese come gli altri, in Occidente, desideroso di ricostruire la sua economia post-bellica con la formula cara a Joseph Schumpeter dello "sviluppo attraverso la ricerca".
Esempi: l'impulso che alla Fisica italiana conferisce Edoardo Amaldi, quello che alla Chimica italiana conferisce Giulio Natta, quello che alla Biologia conferisce Adriano Buzzati-Traverso.
E questo mentre l'industria italiana riusciva a competere innovando nei settori della Meccanica, della Chimica, dell'Elettronica, della Farmaceutica.
Poi, all'inizio degli anni '60, la stagione del Parnaso è finita. In un conflitto politico ed economico (con risvolti giudiziari: vedi i processi a Felice Ippolito e a Domenico Marotta), a carattere strategico, ha prevalso nel nostro Paese il composito gruppo di chi riteneva un lusso la ricerca scientifica e perdente la competizione economica nei settori di punta. Meglio far svolgere la ricerca scientifica ad altri e ritagliare all'industria italiana una nicchia nel campo delle commodities, dei beni di largo consumo a bassa intensità di innovazione.
Risultati di questo conflitto storico sono stati: la progressiva erosione della grande industria italiana, ormai virtualmente scomparsa; lo sviluppo frenato della scienza nelle Università e nei centri pubblici di ricerca; la mancanza quasi assoluta di ricerca scientifica e sviluppo tecnologico nelle industrie.

L'insieme di questi componenti ha alimentato la "fuga dei cervelli". L'Università italiana formava (spesso bene) giovani aspiranti ricercatori che la stessa Università, gli Enti pubblici di ricerca e, soprattutto, l'industria non assorbiva. E così questi giovani hanno iniziato ad andare all'estero, dove hanno trovato le migliore opportunità per valorizzare il loro sapere.
È questa la Nemesi associata alla fine della breve stagione del Parnaso. L'Italia ha continuato e continua a investire per formare scienziati che poi hanno lavorato e tuttora lavorano allo sviluppo dei Paesi competitori. E tutto senza (mostrare di) averne coscienza.

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